Alla fine degli anni ’80 una mattina assolata un giovane muratore di origini salernitane appoggia la cazzuola e si mette a fischiettare alcune note che anni dopo gli ispireranno la più grande canzone di tutti i tempi, che egli dedicherà a ciò che move il sole e l’altre stelle. Il suo nome è Luigino Celestino di Agostino – Gigi, per il mondo – e quella canzone è L’amour Toujours. Ora, immaginiamo questa canzone risuonare alla fine di un film, sui titoli di coda. Le note si perdono nell’universo infinito e sfinito, in quelle stelle che, per rimanere danteschi, abbiamo davvero meritato di rivedere dopo le due ore d’inferno che le precedono – da qualcuno definite “un attacco cardiaco di 134 minuti”. Basterebbe forse questo solo a fare del film – covato dai Safdie brothers per dieci anni e sfornato sotto l’ala calda di Scorsese soltanto alla fine degli anni ’10 di questo nostro secolo d’apocalisse imminente – un vero diamante. Ma è letteralmente nell’opale grezza che sta al cuore degli eventi che troviamo le maggiori suggestioni. Quella pietra che il trafficone ebreo Howard “I disagree” Ratner si fa spedire dentro un pesce dalle miniere insanguinate dell’Etiopia; quella pietra in cui precipitano gli occhi e la mente del cestista Kevin Garnett al primo contatto fra le sue grosse mani, nel negozio di Howard. Il dio della malinconia ti protegga / e il sarto ti faccia il giustacuore di taffettà cangiante / perché la tua mente è proprio un opale, recita il Bardo. Da quel momento in poi infatti, da quando Howard ha aperto il pacco con la pietra – «Holy shit I’m gonna cum» – facendo un piccolo calcolo mentale – 5000 carati x 3000 dollari a carato… –, da quando K.G. ha visto dentro all’opale se stesso e l’universo intero, ognuno di loro penserà che in quella pietra risieda la propria fortuna, la forza di prevalere nella competizione, segnare più punti e vincere ogni partita o l’affare di una vita, il punto più alto di una carriera spesa fra diamanti e strozzini. L’opale nera, questo oggetto borgesiano dalla capacità di ossessionare gli uomini e di condurli al termine ultimo del proprio destino, muove così magicamente i lanci di K.G. e le scommesse sempre più esagerate di Howard, fino alla realizzazione dei rispettivi karma. I due registi fratelli hanno dovuto passare per Good Time, forse il loro vero capolavoro – in cui Benny, il fratello piccolo, offre un’interpretazione a dir poco incredibile al fianco del prossimo Batman Robert Pattinson – per ottenere Adam Sandler nella parte da protagonista; Sandler che dieci anni fa rifiutò l’ingaggio e che ora ha ricevuto la più bella telefonata della sua vita da Daniel Day-Lewis un pomeriggio mentre si provava scarpe da ginnastica al centro commerciale. Una menzione soltanto per Julia Fox (l’amante di Sandler nel film), thoroughbred New York biotch nella vita ma nata a Milano, ex dominatrix, ex stilista, ex fotografa in Louisiana e pittrice di drappi di seta con il proprio sangue prudentemente stillato con una siringa dalle vene celesti, che qui si è quasi vista soffiare la parte da Lady Gaga e Kim Kardashian. Labbra grosse e grossi glutei, occhi opalescenti, Julia, in un intervista, riassume così le caratteristiche condivise col suo personaggio: Being independent, resilient (sic), being a hustler, having a ride-or-die mentality, and overall just being really cute. Droga consigliata per la visione: cicchini bambati. Modo di dire: non uccide la pallottola ma il buco.
throwaway dice
Volevo solo dirti che scrivi davvero bene, complimenti.