di Salvatore Cherchi
La storia è questa: nel 1973 viene rapito a Roma il nipote di un magnate del petrolio. Questo magnate è un uomo ricchissimo. Ricco da far schifo. Così ricco che va in giro a dire: «Se uno ha tempo di contare i suoi soldi vuol dire che non è miliardario!».
Al contempo però è avarissimo. Avaro da far schifo. Così avaro che va in giro a dire: «Ho 14 altri nipoti, e se tiro fuori anche un penny avrò 14 nipoti sequestrati». Ma i rapitori conoscono solo il conto in banca di questo magnate, e tanto gli basta per decidere di rapire il nipote, Paul, e chiedere il milionario riscatto.
Paul è un ragazzo di sedici anni. Vive la dolce vita con dieci anni di ritardo, in una Roma in bianco e nero presa d’assalto da latin lover col vespino e lunghe notti sotto la fontana del Bernini. I rapitori invece sono un gruppo di calabresi che gira con un furgoncino Volskwagen color acquamarina e parlano in dialetto senza sottotitoli. Sanno il fatto loro, ma appena i nervi saltano si tradiscono e vengono beccati da un gruppo di carabinieri doppiati malissimo. Un attimo prima però, uno dei rapitori riesce a scappare col ragazzo per “venderlo” a una famiglia ‘ndrina. Il boss calabrese di turno, vedendo il giovane Paul, dice che è troppo magro, che deve mangiare carne e ingrassare. Affida il compito al rapitore sopravvissuto, noto come Cinquanta, che nel frattempo si è affezionato al giovane americano, tanto da far di tutto affinché da questa storia ne esca vivo e con più parti del corpo integre. Già, perché a un certo punto l’avarizia del vecchio fa saltare i nervi anche al boss dell’‘ndrangheta. Così gli scagnozzi, posata la fisarmonica e la chitarra e smesso di ballare, impugnano il bisturi e spediscono parti del ragazzo a un giornale a mezzo posta.
Alla fine, il vecchio magnate cede e sgancia il riscatto, ma non senza aver prima studiato il modo per detrarre la spesa dalle tasse. I cattivi festeggiano con un piatto di maccheroni al ragù su tovaglia a quadri, e vino rosso. Paul viene rilasciato, ma prende troppo alla lettera un suggerimento riceve da Cinquanta, così alla madre e all’inconfessato amante toccherà pure cercarlo in un borgo rupestre d’Italia.
Insomma, quando tutto sembra essersi risolto per il meglio e ci avviamo a chiudere questa imbarazzante ricostruzione di una cupa cronaca nostrana, sentiamo Cinquanta dare ancora quel suggerimento. E darlo ancora. È un piccolo ammonimento camuffato da battuta di dialogo, e alla terza volta che lo sentiamo, noi, spettatori perplessi in sala, ci guardiamo interrogativi. È come se il criminale dal cuore d’oro non volesse aiutare solo Paul, ma anche noi, o forse il regista e gli sceneggiatori. Chi lo sa, io no. Non l’ho ben capito. Ma il suo gesto, la sua voce anzi, riecheggia ancora nella memoria per il modo in cui ha trafitto il silenzio e il buio in sala. Quel furtivo tentativo di abbattere la quarta parete senza mai guardare in camera, per arrivare dritto a chi sta dall’altra parte.
«Va via dall’Italia!» dice, «va via dall’Italia!».
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