di Valeria Marzano
Ha gli occhi azzurri e piccoli, mi invita a togliere le scarpe. Nel frattempo abbassa la persiana, deve entrare giusto un filo di luce, mi dice.
Ma sì tu prova quell’accento romanesco che la casalinga adora, ricorda che devi sembrare rassicurante ma giusto un filino inafferrabile, misterioso, affascinante.
Il training autogeno consiste in una serie di esercizi di respirazione. Ricordi che contare i respiri non significa controllarli: il respiro fluisce, fluisce e Lei non lo controlla. Lei rilassa le mani, la pancia, allarga le spalle per far meglio circolare l’aria nel petto, sente il sangue fluire in tutto il corpo e poi si concentra sui piedi, poi sulle mani, poi risale fino alla gola…
Certo, le sigarette vanno bene. Fanno parte del personaggio. Che poi eri incredibile da ragazzo in quel film là, come si chiama… quello in cui spari al vecchio, a Elvis.
E poi annota tutte le Sue sensazioni, fisiche e non, su un’agenda; la prossima settimana mi dice come è andata. Mi raccomando, lo faccia la mattina appena sveglio. Ogni mattina.
Mi hanno detto che questo dottore è un accademico, è uno dei migliori di Roma, una garanzia. Scendo le scale del suo studio in viale Giulio Cesare, vado verso la macchina. Certo, chiede una piotta solo per insegnarmi a respirare, e del resto parliamo a malapena…
Ripensandoci no, questo personaggio non fuma, è più tipo il bravo padre moderno. Hai capito no? Che parla di sesso con le figlie ma non sbrocca e tutto il resto
In via Barletta c’è il cornettaro, ci passo per andare a prendere l’auto. Il 19 che raglia e ai lati queste orde di turisti con i cappellini, le bandierine gialle e bianche del papa. Mi ferma una donna e mi chiede un selfie, vuole sapere se è vero che ho un tatuaggio per i miei figli, dice che sembro tanto un brav’uomo, bravo ma rock and roll, affascinante poi che non ti dico. La macchina è in doppia fila e becco il controllore dell’Atac che compila il suo blocchetto per la multa. Mi vede arrivare e strabuzza gli occhi guardi scusi non sapevo che fosse Lei ma Le pare ma si figuri è che qua a noi ci dicono di farle le multe Lei mi capisce… Ma passa spesso da queste parti, è di qua? No perché, sa, mia moglie è una sua grande fan. Pazzesca l’ultima stagione del commissario ma che se le fa davvero Lei le canne? Mio figlio chi lo riacchiappa più con quella roba guardi non so come fare.
Prendo due cornetti e me ne torno a casa, fisso il pouf Zanotta rosso nell’angolo del salotto e penso di provare già questa cosa del training: chiudo le ante della portafinestra, tolgo le scarpe, divarico le gambe, lascio penzolare i piedi all’esterno… è che non mi va di fare sempre il solito ruolo, poi di Freud non ho letto nulla. Forse quel pamphlet sul lutto e la melanconia.
La malinconia è un lutto perenne senza che ci sia un vero morto: il lutto si supera, perché ha un oggetto, mentre la malinconia è più difficile da superare. Io ero malinconico già da prima. Ma questi analisti del lutto non ne sanno un cazzo, si sa, fanno solo finta: buttano un “stia attento a non proiettare troppo” di qua, un “è un’elaborazione complessa” di là e il gioco è fatto.
Io sono senza scarpe sdraiato su un sacco di design da trecento euro e penso che fare una commedia in fondo non è male. L’amore, il sesso, i legami, quell’ingorgo irrisolvibile di avviluppamenti, di dolori, di destini. Tutto sullo schermo come fosse nient’altro che una farsa, come se le cose belle accadessero come istantanee, quelle brutte fossero sempre riconducibili a un senso. La commedia, il bravo padre, il padre moderno. Il pubblico che ride, i giusti incassi, niente meno e niente più. Il telefono squilla.
Allora che fai, lo accetti ‘sto ruolo o no? Guarda che questo è ‘na specie di Sigmund borghese e bonaccione, e poi i soldi ci stanno.
Sogni, colpe, ossessioni, tutta robaccia inutile. Approssimiamo pure. Vorrei dirgli guarda Alfonso che mo’ gli analisti mica ti parlano più di ‘ste cose, mo’ ti fanno fare il training autogeno perché è una roba all’avanguardia, e infatti già lo sento che un po’ magari funziona. Invece mi sistemo dritto sul pouf, metto su il primo disco degli Adolescents e mi fumo una sigaretta: ma sì, perché no?
Alfonso, ci sto. Lo faccio.
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