– Cari compagni, care compagne!
La Segreteria Centrale Unitaria del Partito Comunista Italiano era schierata in pompa magna e aveva inchiodato perfettamente quell’equilibrio importantissimo da trovare fra lusso, ostentazione, medaglie appuntate sul petto; e modestia, umiltà, proletarismo modaiolo. I membri dovevano trasmettere l’idea di essere gente comune che con impegno, dedizione, duro lavoro e sacrificio erano stati riconosciuti come i migliori rappresentanti della classe dei lavoratori. La giornalista di Moda Proletaria, una rivista molto seguita dalle masse, l’avrebbe definita “eleganza incosciente”.
– Procediamo ora con la discussione del punto 47 proposto dal Comitato Cultura e Propaganda.
Mancavano ancora 13 punti per concludere la riunione di fine anno. Tutta la sala si agitò sulle sedie, alcuni per la fame, altri per il sonno: due giorni e due notti di fila ad ascoltare non erano facili, ma chi veniva portato via dopo uno svenimento o abbandonava la sala di sua iniziativa, veniva segnalato su un registro visibile anche ai quadri medi regionali e provinciali e ogni domanda, richiesta o autorizzazione, veniva negata fino all’anno successivo.
– Il cosiddetto “Santo Natale”, arcaico retaggio della cultura prerivoluzionaria, da sempre costituisce per il popolo italiano un problema anche per il lavoro sovversivo dei pochi rappresentanti rimasti dell’estremismo del clero.
Tutti fecero finta di sputare rumorosamente per terra. Il Presidente del Comitato Cult–Prop sudava agitando i fogli della relazione. Si guardava intorno cercando lo sguardo della prima fila della platea, lanciando sorrisi.
– Pur tuttavia, noi crediamo che la nostra benamata Repubblica Sovietica Italiana potrebbe utilizzarlo ed indirizzarlo, adattandolo alle moderne necessità della società proletaria.
La sala ammutolì, non si sentiva volare una mosca. La Segreteria Centrale divenne una fila di statue ieratiche, fisse su un punto immaginario in fondo alla sala, il più possibile lontano dall’oratore. Questa parte non c’era nel testo preventivo, sottomesso all’approvazione e già stampato negli atti della Riunione Annuale che sarebbero stati distribuiti a tutti i presenti e a ogni dirigente di ogni sezione della penisola.
– Proponiamo quindi di celebrare il “Santo Natale” come festa laica e socialista della famiglia intesa nelle sue più diverse e inclusive forme, poiché, se è vero con Gramsci che “Gli stregoni, siano vescovi o cardinali, non sono intelligenze, né coscienze, ma sacerdoti che ridono tra loro dietro gli altari”, allo stesso modo è vero con Lenin che “Colui che attende una rivoluzione sociale pura non la vedrà mai; egli è un rivoluzionario a parole che non capisce la vera rivoluzione”.
Scollinato, l’intervento continuò lungo i binari più tranquilli dell’ideologia ortodossa. Deve essere ubriaco, pensai. O magari non ha attraversato la rivoluzione psichedelica indenne. In ogni caso, non parlerà mai più in pubblico, questo è sicuro. Non eravamo più negli anni ’60, con i gulag e gli eccessi del personalismo, altrimenti sarebbe sparito appena fuori dalla sala. Avevamo fatto molta strada da allora. Al massimo, poteva toccargli un anno di rieducazione all’Università Centrale di Roma e qualche archivio polveroso il più lontano possibile: Gorizia, magari, o Ventimiglia.
– Lasciatemi quindi augurare a tutti i delegati un Natale Socialista e Laico, oltre a un sereno 2020.
Non applaudì nessuno, fra i 6.000 presenti in sala. Il presidente scese dal palco, si sedette al suo posto e fu ignorato per il resto del pomeriggio.
Ora che il Buddicomunismo è così diffuso può far sorridere, ma all’epoca la nostra Repubblica Sovietica ancora temeva la chiesa e tutto quello che la riguardava: per quanto avessimo svuotato le cattedrali, trasformate in centri sportivi e piscine, c’era sempre qualcuno che tirava di nuovo fuori la storia dei miracoli, della salvezza dopo la morte, della resurrezione. E dietro ogni angolo mugolava un prete che diceva messa di nascosto. Roma brulicava di questa gente: i rosari si vendevano al mercato nero.
“Fu durante quella riunione che nacque il Buddicomunismo e io sono l’ultimo rimasto a poterlo raccontare, cari bambini”.
Mentre li guardo – mi capita sempre più spesso da vecchio – mi chiedo se avessimo ragione. Se il progresso proletario sia stato inevitabile o figlio del caso, di battaglie vecchie di secoli, vinte o perse per uno starnuto, una disattenzione da niente. Allora ripeto il Mantra Buddicomunista 21: “La storia è ordinata dalla volontà del popolo e scorre senza fine; noi siamo scaglie dell’unico popolo, del grande proletario, e camminiamo sapendo che non c’è ricompensa né premio. Possano tutti i senzienti riconoscere la giustizia e l’uguaglianza”.
L’umanoide-insegnante sgridò qualcuno che mangiava un pezzo di pizza e sugli schermi della classe apparve un video pre-3D dell’intervento finale di quella lontana riunione in cui il Segretario spiegava come ogni festa fosse un inganno, ogni celebrazione una campana stonata poiché tutto passa e l’attaccamento porta dolore. Lo sapevamo tutti a memoria.
– Mi scusi – alzò la mano un biondino in ultima fila – È vero che è stato lei a infiltrare la Chiesa Riformata Unitaria Globale e a scoprire che mangiavano i bambini?
Sorrisi e pensai a quanto eravamo fortunati, tutti noi.
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