di Luca Giommoni
Tutto è iniziato perché ho voluto cambiare le tende da sole nel balcone e, per risparmiare cinquanta euro, ho chiamato un mio vecchio compagno delle medie.
Il mio vecchio compagno delle medie, mentre lo aggiornavo sugli ultimi trent’anni, mi ha detto una cosa: il giorno prima si era fatto una grande chiavata, da manuale, ha detto, con una vedova cui aveva montato le tende e che era stata spostata con un manutentore stradale che, un giorno, aveva alzato la testa dal tombino troppo presto.
Il mio vecchio compagno delle medie mi ha detto anche un’altra cosa: «Ai giovani d’oggi farebbe bene un po’ di servizio militare». Non ero d’accordo ma ho evitato di ribattere e ho sbagliato, perché, forse, se lo avessi fatto, non sarebbe cominciata la giornata delle grandi chiavate.
Infatti, subito dopo, mi è arrivato un messaggio di una mia passata avventura che mi diceva che sua madre, per quello strano gioco dell’orastobene-orastomale, una mattina, si era svegliata e, prima, non riusciva più a parlare, poi, le erano stati diagnosticati in ordine: un tumore al cervello, uno ai polmoni e uno alla pelle. La mia passata avventura aggiungeva che l’unico modo per combattere la morte era la vita quindi sarebbe venuta da me per farsi una grande chiavata.
Fumavo una sigaretta in balcone, sotto le mie tende nuove, e riflettevo su quando era stata l’ultima volta che avevo visto la mia passata avventura, ed ecco che il mio vicino di casa è uscito sul suo balcone, completamente nudo.
Il mio vicino di casa l’avevo visto solo due volte prima di allora. Una volta nel suo giardino mentre parlava di Actors Studio a suo padre, e l’altra su un articolo tutto per lui su un quotidiano locale in seguito a una sua comparsata in una fiction sui carabinieri con Veronica Pivetti. Per me, il mio vicino di casa era più sconosciuto di Veronica Pivetti ma lui si è dato lo stesso una bella stirata poi una bella scrollata e mi ha chiesto: «Cambiato le tende?»
«Sì, belle, vero?» ho detto.
«Io mi sono appena fatto una grande chiavata» ha detto lui accennando all’interno della sua camera.
«Da manuale?» ho detto io.
«Su una sedia girevole» ha fatto lui.
La mia passata avventura mi ha mandato un altro messaggio. Mi ha detto se avrei potuto procurarle del divertimento. Quella sera non avrebbe voluto pensare a niente, desiderava solo divertirsi. Allora sono andato dal mio pusher del divertimento. Il supermercato.
Lungo la strada ho sentito alla radio che un multimiliardario americano, per ripopolare l’oceano di capidogli, aveva raccolto tonnellate di sperma di capodoglio e si apprestava a spargerli nelle profondità degli oceani facendo esplodere un ordigno da trecento megatoni in quella che lui chiamava La più grande chiavata degli abissi.
Ho comprato dei macarons al gusto oreo e altri semplicemente rosa.
Alla cassa, un tizio davanti a me raccontava a un amico che lui non riusciva proprio a trovare una casa in affitto in centro dove vivere ma che aveva appena preso in affitto una casa in centro a mille euro al mese che subaffittava tramite Airbnb, ma prima di rendere l’annuncio visibile sulla piattaforma aveva voluto inaugurare la casa facendoci una grande chiavata con una venezuelana.
Durante il viaggio di ritorno mi ha chiamato mio padre. Mi ha detto di non cercarlo per nessun motivo nelle successive ore perché, su suggerimento dell’urologo come cura naturale all’ipertrofia prostatica, sarebbe uscito per farsi non una grande chiavata ma una sana chiavata.
Rientrato a casa, ho dato una sistemata e ho acceso la televisione. C’era il telegiornale, diceva che ventidue soldati erano rimasti uccisi nel Donetsk.
Di sicuro, ho pensato, quei ventidue giovani di oggi che avevano giovato da un po’ di servizio militare, quella sera, potevano dire addio alla possibilità di fare una grande chiavata, anzi, potevano proprio dimenticarsene del tutto.
La mia passata avventura ha suonato alla porta. Quando le ho aperto il mio unico desiderio era combattere la morte con la vita. Il suo era cambiare canale.
«Voglio solo divertirmi» ha detto alla mia faccia e a quella del giornalista sullo schermo che diceva che trecento civili erano rimasti uccisi a Gaza in seguito allo scoppio di bombe a grappolo per un delicato progetto di rinnovamento urbano. Anche per loro il tempo delle grandi chiavate era finito.
Ho mostrato alla mia passata avventura i macarons.
«Scegli quello che preferisci, io arrivo un attimo in bagno» le ho detto. «Fai presto» ha detto lei mentre continuava a cambiare canale.
Sul bidet, per infondermi ancora di più le giuste motivazioni, ho ripensato al mio vecchio compagno delle medie, al mio vicino di casa che, superfiero, si scrollava l’uccello, all’ipertrofia prostatica, al Venezuela, ai capidogli.
Poi sono uscito.
La sigla dei DuckTales riempiva tutto il salotto.
Ermavilo cantava che ogni giorno c’era una nuova storia, misteriosa e paperosa.
Mi sono seduto accanto a lei sul divano e lei mi ha guardato con aria assente e commossa allo stesso tempo.
«Ci sono i DuckTales» mi ha detto.
Era l’episodio in cui Zio Paperone tornava indietro nel tempo per capire cosa avesse provocato l’esplosione nell’isola più occidentale dell’arcipelago di Capopapero, che aveva comprato per venti milioni di dollari.
Con lo sguardo fisso sullo schermo, anche lei ha iniziato a viaggiare nel tempo.
«Quando li guardavo, mia mamma stava benissimo e non c’erano tutti questi problemi o, perlomeno, non ce li dicevano» ha detto.
Non ho avuto niente da ridire.
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