Al termine di una riunione on-line del collettivo In fuga dalla Bocciofila, quando si era già alla fase dei saluti, Carlo ha detto, con una voce stranamente distratta, che voleva aggiungere un’altra cosa.
Aveva in mente un progetto fotografico, in cui coinvolgere tutti gli altri. In breve, ciascuno doveva scegliere una foto che rappresentava il suo desiderio, o meglio, l’oggetto del suo desiderio, e lui avrebbe scattato una foto alle foto, o a una singola foto, video-proiettando sul corpo quel desiderio.
«Ma nudi?» ha chiesto Giovanni.
«No Giova», ha riposto Carlo. «Vestiti».
Poi, finito di esporre la cosa, tutti hanno approvato e si sono complimentati con Carlo per l’idea, sebbene, come si sarebbe potuto notare da un’analisi più attenta delle lievissime variazioni nei volti pixelati negli schermi, c’era da chiedersi chi del gruppo avrebbe realmente aderito.
Non per antipatia verso Carlo, ma perché forse, in quel gruppo di persone, 1. vi è un pregiudizio negativo verso tutto ciò che presuppone un’esposizione fotografica del volto. Questo dipende forse dal fatto che i differenti social network (sebbene simili e accomunati dallo stesso proprietario) ci hanno invaso di facce e fotografie un tempo tenute in qualche cassetta d’alluminio o al limite imposte in una sessione di diapositive al termine di una cena. Oggi invece no. Le foto sono continuamente tra noi, quasi al punto che internet si è trasformato in un mercatino delle pulci di provincia, dove i volti delle persone rappresentano allo stesso tempo il brand e il prodotto che si vorrebbe vendere.
2. Inoltre, la questione del desiderio che propone Carlo, è a tutti gli effetti problematica. Che cosa desidero? Non saprei. Cosa intendi con desiderio? Posso rispondere alla tua domanda facendo un’altra domanda oppure chiedendoti di definire quello che intendi con “desiderio”, il fine è sempre lo stesso: non rispondere, ma guadagnare tempo.
Simone un lunedì mattina che non aveva niente da fare, ha scritto a Carlo un messaggio in privato, per dire che aveva deciso di partecipare al progetto e aveva scelto la foto, e che doveva solo capire meglio i giorni in cui non doveva lavorare, così da poter andare da lui.
Carlo, con dei messaggi vocali in cui si poteva riconoscere la sua voce non più distratta, ma priva di dubbi (dubbi che sarebbe da ritenere accompagnino sempre tutti, ma Carlo ha di bello che a volte sembra dimenticarlo e farlo dimenticare anche a chi gli sta vicino), Carlo, ha detto: «benissimo Simo, fammi sapere quando puoi venire. E grazie!».
Era un grazie, il suo, sebbene fosse un semplice messaggio whatsapp, privo di scarti, o almeno così è sembrato. Un grazie “alla Carlo”.
Simone ha aggiunto nel messaggio le foto che avevo scelto, due foto, senza specificare cosa rappresentassero. Era un palazzo, un colonnato forse rinascimentale, apparentemente ritratto in una mattina dei primi di gennaio. Era il Ninfeo di Villa Giulia, dove si svolge la serata di premiazione del Premio Strega. Non sappiamo se Carlo ha riconosciuto il luogo, ma non ha chiesto spiegazioni.
Simone non ha preso parte al progetto fotografico di Carlo.
Forse perché ha dovuto lavorare. Forse perché non è riuscito a organizzarsi per tempo. Forse perché non era certo di voler vincere lo Strega.
La conclusione è che il progetto fotografico di Carlo, sia che si realizzi o che non si realizzi, funziona lo stesso.
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