Essi Vivono ST02, ep13
di Daniele Pasquini
Gli sfavillanti colori e le indimenticabili atmosfere dei magici anni ’80, dice la descrizione della pagina evento, e tu pensi che ci sono davvero troppi aggettivi, davvero tutti sbagliati. C’è una sfera specchiata da cui si diramano raggi giallo, ciano, magenta, la sagoma stilizzata di un ballerino con pantaloni a zampa, un cesto di capelli che dovrebbe risultare iconico.
«Bisogna vestirsi a tema» ti dice Luca mentre rimette il telefono in tasca «io pensavo a qualcosa tipo Grease». Lo guardi e gli dici che c’è una bella differenza tra gli anni ’70 e gli ’80, e che tuttalpiù un riferimento accettabile potrebbe essere Flashdance. Fa spallucce «che pesantezza» dice «falla poco lunga, ti aspetto all’Antella domani sera».
Ti presenti alla festa conciato come Robert Smith. Hai messo un filo di rossetto, poi gli occhi cerchiati di nero, neri gli anfibi e neri i vestiti. Luca ti aspetta all’ingresso con una camicia dal colletto spropositato che spunta sotto una giacca rossa. Non si capisce che roba sia.
«Chi saresti» gli chiedi.
«Sono anni ‘80, favonchio, non li vedi i colori?»
Scuoti il capo. Il riferimento filologico è vago e ti sdubbia.
«L’importante è che si trombi» chiosa il tuo amico. «Te però sembri un becchino, che t’è preso?»
In effetti di fronte all’ingresso i più sembrano del partito di Luca, super glam, caleidoscopici, colorati, luccicanti. Sopraggiunge un gruppo di maschi agitati, indossano completi sportivi azzurri, il capofila ha la pipa e degli occhiali fumé, capisci meglio il quadretto quando riconosci quello che dovrebbe essere Zoff: ha una replica gonfiabile della coppa del mondo; due tipe più in là strillano abbracciandosi, forse sono vecchie amiche, entrambe si sono vestite da Madonna, cosce gnude e corpetto dalle coppe a punta, hanno avuto la stessa trovata, poi ti arresti un attimo, controlli su Google, scopri che la trovata è sbagliata: Jean-Paul Gaultier, la coppa conica è stata sfoggiata a Cannes nel 1991, lo stesso anno di Wish dei Cure, e porca troia, ti dici, che cazzo costava controllare?
Sei troppo severo, ti dici. Sospiri indulgente e ti dici che in fondo i decenni si susseguono senza continuità, forse queste scansioni nette interessano solo ai vecchi, e tu dovresti sentirti giovane. All’inizio degli anni ’80 nemmeno c’eri. Sai solo che quel periodo è stato l’inizio della fine, l’ultimo lampo di illusione, il trionfo dell’edonismo. Ecco cosa non va. Tra gioire senza motivo e patire consapevolmente preferisci la seconda scelta.. È per questo che sei tutto nero, ostinato e cupo. Anche se nessuno riconoscerà in te il tizio che a fine decade lanciava Disintegration.
Guadagnate l’ingresso accompagnati dal falsetto di Alan Sorrenti. Luca ti fa cenno di attendere mentre corre a salutare Micheal Jackson. Ti intrattieni guardando Freddy Mercury che ci prova con Jane Fonda in pantacollant, poi ti allontani, raggiungi il bar e aspetti il tuo turno mentre il dj suona Donatella Rettore che parla di tassonomia dei rettili. Non credi di potercela fare, ti dici barattando otto euro con un gin tonic.
Allora esci a prendere aria, ricevi un timbro sulla mano e accendi una sigaretta. Dal tuo angolo osservi la fila che scorre.
«Robert Smith?» ti chiedono dei capelli corvini pieni di lacca. Una tipa si avvicina.
«La volontà era quella, sei l’unica che l’ha capito» dici mettendo la sigaretta in bocca, passando il bicchiere nella sinistra e liberando la destra per tenderle la mano. «E tu?»
«Io sarei Kate Bush» ti dice lei «Volevo fare Margaret Thatcher, ma rischiava di passare per un endorsement».
Sorridi, Kate ti dice il suo vero nome, ma preferisci continuare a chiamarla Kate. Siete gli unici due personaggi tutti neri in mezzo alla folla in technicolor.
«È che a me gli anni ’80 fanno pena, dici. Salvo giusto gli Smiths, i Diaframma e poco altro».
«E i Cure, a occhio e croce».
Confermi, poi non sai più che dire. Da dentro fuoriesce il riff effettato della hit degli Europe, e le voci che inconsapevolmente inneggiano all’apocalisse intonando in coro The final countdown.
«Santo cielo» dice Kate «Non so mica se ho voglia di entrare. Tutta questa felicità mi mette a disagio. È davvero troppo, come dire, artificiale?»
Annuisci. «Avessi avuto l’età che ho oggi in quegli anni lì, avrei avuto un gruppo punk, avrei urlato slogan no future e sarei morto di overdose».
«E invece?»
«Invece non so suonare, a inizio anno sono stato assunto in uno studio legale, ho preso il mutuo per la casa e son stato lasciato. Ora è venerdì sera e un collega mi ha trascinato qua. Zero voglia, ma meglio che restare solo a casa.».
Kate fa un sorriso, proprio un bel sorriso da soprano, poi senza chiedere il permesso ti succhia un po’ di gin tonic dalla cannuccia. Dentro è la volta di Karma Chameleon.
Ti invita a fare due passi, scrivi a Luca che hai trovato un’amica e te ne stai andando. Uscendo dal paese superate un fosso, Kate prende a parlare di fiumi, che se il mare alla fine è lo stesso per tutti, invece c’è una bella differenza tra il Tamigi, il Liffey, e l’Ema, perché i corsi d’acqua che ti attraversano sono molto più importanti di quelli che ti circondano.
«Sì, ma tanto tutti in mare finiscono» dici mentre vi mettete alla ricerca di una panchina.
«Tutti in mare» ti asseconda lei «ma ognuno fa il suo percorso».
Sfilate oltre Ponte a Niccheri, le macchine corrono. Quando vi fermate prendi il cellulare e leggi il messaggio di Luca. Dice semplicemente: a poppe?
Vi sedete in un parchetto che separa i parcheggi di un condominio dalla strada che porta allo svincolo dell’autostrada, guardi Kate e capisci che agli anni ‘80 siete sopravvissuti, che non sei davvero triste, che non sei nemmeno solo. Ti viene quasi voglia di dirglielo, ma lei sta sorridendo di fronte allo schermo. Per un attimo pensi che quel sorriso rivolto altrove significhi chissà che, temi che con il pensiero sia già via, ma poi noti che ha solo aperto Spotify. Mette Moonlight Shadow e si alza.
«Vieni» ti dice. Non è nella tua natura, ma le vai incontro e inizi a ballare. Vi muovete così, illuminati appena dai lampioni fiochi, mostrandovi senza imbarazzo al bagliore delle insegne di Burger King.
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