Per una serie di circostanze abbastanza improbabili (un viaggio di lavoro di mia moglie, la città svuotata nei fine settimana) mi sono ritrovato a passare una serata con dei vecchi amici che da tempo non frequento più.
Sono questi degli amici di quando ero molto giovane, persi di vista non tanto per motivazioni precise, liti, questioni di soldi o d’amore, quanto piuttosto perché la vita stessa, per così dire, ci ha allontanati. Sono tuttavia loro e solo loro a cui penso, anzi a cui il mio inconscio pensa, quando penso a degli amici.
Quindi per una serie di circostanze mi sono ritrovato di nuovo con quel solito gruppo di persone, un gruppo in effetti dai contorni variabili, composto ovvero di alcuni membri fissi e altri che potevano cambiare, ma per lo più da ragazzi e quasi nessuna ragazza, un gruppo di persone cresciute insieme nel quartiere Le Cure e poi ancora accomunato dallo stesso liceo scientifico, il Gramsci, o per quelle che in altri tempi si sarebbero dette semplicemente “Le compagnie”.
Oggi siamo tutti cresciuti, anzi dovrei dire invecchiati, e l’immagine mentale che ho di loro sempre mal si accorda con la loro immagine reale, creando una specie di alone o aura intorno a chi ho di fronte. Immagino sia lo stesso per loro.
In quella sera che abbiamo passato insieme erano sparite le sigarette che sempre avevamo incollate alle labbra, ed erano comparsi nuovi gadget: occhiali da vista, doppi o tripli menti, scarpe che un tempo avremmo giudicato brutte.
Dopo una cena al ristorante siamo finiti, quasi per l’istinto che di notte ti riporta verso casa, nelle solite zone della nostra infanzia che sembravano tutte diverse da come le conoscevamo.
C’erano più campi e più prati, gli alberi erano più alti e frondosi.
Per un caso o forse no, siamo capitati proprio nella mia via, sotto al portone dove sono nato e cresciuto, e sempre per un caso o meno, la porta del cortile sul retro era aperta, così siamo entrati in quel giardinetto che tante volte ci aveva ospitati in passato.
Siamo stati là, seduti sul prato, mentre scendeva la sera, e io ho chiuso gli occhi e ho sentito le voci dei miei amici, uguali identiche a quelle stesse voci che risuonarono nella mia infanzia e adolescenza, voci che io potrei riconoscere tra mille, la voce di Fabio, la voce di Tommi, voci che in un certo senso non hanno un contenuto o un oggetto, ma sono dei semplici suoni.
E così quella sera recente ho ascoltato le loro voci, che erano uguali a quelle che furono, e mi sembrava che anche quello che dicevano fosse simile, c’erano scherzi e prese in giro.
Fabio per l’occasione si è pure girato una sigaretta, mentre Tommi ha deciso che era arrivato il momento di fare un po’ di casino e ha iniziato a lanciare dei piatti da pic-nic che ha trovato in un angolo come fossero frisbee.
Che fai, smettila, ho detto a Tommi. Non è il caso di mettere tutto in disordine, non abbiamo mica più quindici anni.
Eddai Simo, non essere il solito guastafeste. Non è più casa tua, ha detto Tommi continuando a lanciare i piatti dappertutto.
Smettila Tommaso, ma ti vedi? Sei un uomo fatto e finito e continui a fare come se fossi un bambino.
Ma smettila te, lasciami essere come sono. E poi non vedi che sono dei piatti compostabili, si dissolveranno nel prato, non rimarrà niente di questa roba.
Fabio fumava in silenzio, rideva di quel nostro dialogo, uguale in fondo a tanti altri dialoghi avvenuti in passato.
Poi qualcuno si è affacciato da una finestra e ci ha urlato di andarcene o avrebbe chiamato la polizia. Noi siamo scappati correndo per le strade deserte.
Rispondi