Si dice che la casa editrice Adelphi abbia avuto la funzione storica di portare i borghesi rivoluzionari ad assumere posizioni più reazionarie dagli anni settanta in poi.
La funzione di Checco Zalone è oggi quella di traghettare (senza creare allarmismi) la popolazione italiana piccolo borghese verso posizioni più miti nei confronti dei diritti acquisiti e nello specifico dei diritti dei lavoratori. La questione diritti dell’individuo tipo l’uguaglianza tra uomo e donna, i matrimoni gay o l’affermarsi della famiglia non-tradizionale di cui Zalone parla in modo apparentemente favorevole prende solo atto di un’evidenza e di una tendenza generale (è da intendersi quasi come un compromesso, e a conti fatti superfluo), mentre il punto chiave è ancora (come era stato nei film precedenti) il tema del lavoro.
La perdita del posto fisso viene presentata in Quo vado? come un atto dovuto, necessario. Come conseguenza di una cattivissima gestione politica, ma anche (e soprattutto) come una colpa dei lavoratori stessi. Il diritto del lavoratore è convertito in cattiva coscienza. Se il lavoratore non ha più diritti e posto fisso è in fondo colpa sua.
Ma, e qui sta la morale zaloniana, la cosa non deve spaventare nessuno: dopo un certo giro di pellegrinaggi si tornerà al punto di partenza, un lavoro si troverà, il cambiamento è solo gattopardiano: si va da posizioni reazionarie a posizioni altrettanto reazionarie. Non cambierà niente, nessuno ci farà del male, saremo solo un po’ più buoni. Forse andremo lontano, forse cambieremo vita, emigreremo, ma saremo sempre i soliti simpatici furbi italiani che in fondo hanno ragione su tutto, che la famiglia è patriarcale, che lavorare fa schifo e basta con ‘sta minchiata dei diritti delle donne e dei gay (per non parlare dei neri o di qualsiasi altra etnia).
Dopo il lungo viaggio sereno nella perdita dei diritti saremo appena un po’ più poveri e buoni di come eravamo prima: la messa una volta l’anno?, tirare un po’ la cinghia e anche questa generazione in qualche modo se la caverà. Per le successive, boh, si starà a vedere. Mentre intorno a noi tutti perdono il lavoro (nella sala si respira l’odore dell’ansia) proviamo a innamorarci. Innamoriamoci, mentre i ghiacci si sciolgono e masse di popolazione africane non hanno accesso ai farmaci di base. Innamoriamoci e proviamo a ridere (ma che ansia si respira in questo film) tutto si metterà per il meglio anche se i beni confiscati alla mafia verranno poi ripresi dagli stessi, anche se verremo licenziati, se niente è garantito. Innamoriamoci (qualsiasi cosa questo possa significare, nulla forse?, un modo di dividere l’affitto?) o almeno proviamoci.
Poi le luci si accendono e con facce dure usciamo fuori dal cinema. Ecco dove andiamo.
Se si prescinde dal valore d’uso dei corpi delle merci, rimane loro soltanto una qualità, quella di essere prodotti del lavoro. Eppure anche il prodotto del lavoro ci si trasforma non appena lo abbiamo in mano.
Karl Marx; Il capitale
Simone Lisi
Rispondi