Quell’anno le piogge di marzo e aprile erano state abbondanti e i bacini idrici sulle montagne avevano raggiunto il livello massimo. Gli esperti garantivano che ci sarebbe stata acqua disponibile per tutta l’estate. Ascoltavo la radio in cucina aspettando che mio padre passasse da casa per aiutarmi a montare il pergolato in terrazza. La radio, quella mattina, sembrava dare spazio solo a buone notizie.
Era stato firmato un cessate il fuoco per la guerra in corso, con alcuni membri astenuti e uno Stato, sempre il solito, naturalmente contrario, ma la risoluzione era comunque passata.
Aspettavo mio padre senza nessuna impazienza, l’intera giornata libera da dedicare al pergolato, quando squillò il telefono ed era lui che diceva che era imbottigliato nel traffico e che avrebbe fatto tardi per il nostro appuntamento. A me non importava, anzi, mi dava modo di continuare a fare le mie cose ancora per un po’, come fossi in vacanza da tutto, stare al tavolo ad ascoltare la radio bevendo un caffè americano e fumando una sigaretta.
Dopo pochi minuti suonarono alla porta ed era già lui.
«Era meno peggio di quello che pensassi» disse mio padre. «Un’enorme fila che poi si è sgonfiata e dissolta come un banco di nebbia».
«Meglio così», risposi io.
«Forse» aggiunse lui, «dipende dal fatto che i lavori della metropolitana di superficie stanno finendo. Hanno calcolato che l’ottanta per cento del traffico cittadino svanirà, di conseguenza. Mi è sembrato tanto, l’ottanta per cento».
«Se lo hanno calcolato, sarà vero».
«Certo, se l’hanno calcolato. Mentre venivo qua pensavo che in futuro il traffico non esisterà più e che anche io e anche tu, tra qualche anno non avremo più la macchina. Verrò qui a trovarti in autobus».
«Ma se io la macchina non ce l’ho neanche adesso», risposi sorridendo, ma lo dissi così, senza una volontà polemica. Quel tempo là sembrava passato, tra di noi.
«E quindi? Iniziamo? Andiamo a vedere questo pergolato».
Salimmo in terrazza e iniziammo a lavorare, con metodo. Mio padre che era stato muratore aveva una parola definitiva su tutto, ma la diceva senza la presunzione di volermi insegnare niente, di volermi insegnare a vivere. Erano solo delle affermazioni che facevano seguito a dei gesti ripetuti tante volte che facevano seguito infine a delle riflessioni antiche e condivisibili, perfino da me.
«Sai», mi disse, «ascoltavo la radio stamani. Sembra che il buco dell’ozono si stia chiudendo», diceva mentre gli allungavo un cacciavite a stella e guardavo sul palazzo di fronte due operai che lavoravano su un tetto.
«Come dici?»
«Il buco dell’ozono, non c’è più».
«E dove è finito?»
«Si è richiuso. Non ho capito come, ma sembra le cose vadano meglio».
E in effetti le cose sembravano quella mattina, sul serio, andare meglio.
Il pergolato veniva bene. Cominciava a battere un bel sole caldo sopra di noi, ma mio padre ci era abituato, dopo una vita passata a lavorare all’aperto, ora che aveva smesso, forse quella vita un po’ gli mancava. Io indossavo un cappello da baseball con la visiera e una crema solare 50 cosa che evidentemente lui aveva notato, ma non mi aveva fatto pesare, come forse un tempo avrebbe fatto. Stavamo lassù e solo pochi rumori arrivavano fino a noi, una vettura ogni tanto, e per il resto il canto di uccelli che passavano in cielo e ancora il canto dei due operai sul tetto, che dopo un po’ finì perché evidentemente erano andati a mangiare.
«Cos’è quella bandiera», disse mio padre.
«Bandiera?»
«Sì, un vessillo, nero, laggiù su quel palazzo».
«Quale dici?»
«Là, aspetta, fammi mettere gli occhiali. Laggiù, sul palazzo rosa. C’è un aquila disegnata sopra».
«Quella piccola, dici? Non sono certo sia un aquila. Forse sono altoatesini», dissi a mio padre poco convinto.
«C’è una scritta sopra, la vedi?»
«No, non vedo bene, no. Ma che importa?» gli dissi. «Magari è stata messa su per una partita di calcio, o per chissà cosa. Non capisco perché ti interessi tanto».
«Non mi interessa tanto, come dici tu. Era solo per dire».
Continuammo a lavorare al pergolato, ancora per un’ora e ci fermammo solo il tempo di mangiare dei panini al formaggio nell’ombra della struttura che avevamo già montato. Veniva su bene e era piacevole stare sotto al pergolato, malgrado il sole di giugno allo zenith, mangiando i nostri panini in silenzio.
Nel primo pomeriggio il pergolato era pronto. Guardammo il risultato finito. Era davvero un ottimo lavoro.
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