di Francesco D’Isa
La prima volta che vidi Jesus Christ Superstar ero in una condizione del tutto inadatta a godermi lo spettacolo. Avevo circa diciannove anni, vivevo coi miei genitori e non riuscivo a prendere sonno; sottomano avevo solo qualche libro e una vecchia televisione in bianco e nero (sì, esistevano). Optai per la tv, l’accesi e trovai il musical a metà. Lo vidi a bassissimo volume, per non svegliare i miei, ma nonostante i limiti tecnici mi piacque moltissimo. Il cristianesimo non mi interessava molto, a differenza del rock, che assieme al punk e al metal copriva gran parte dei miei gusti musicali di allora. In seguito ho frequentato sempre meno i concerti, non tanto per il mutare di preferenze musicali, quanto perché ho maturato una certa consapevolezza in merito al disagio che mi comportano gli eventi di massa. Ammetterlo da giovani è difficile, ma i riti collettivi non mi sono mai piaciuti. Non amo le feste, non seguo il calcio o qualsivoglia culto, partecipo malvolentieri ai ritrovi collettivi e nutro indifferenza verso le celebrazioni. Amavo ballare, questo sì, ma da sobrio. Non è una fobia, e anche per questo me ne sono accorto tardi. È più come la lieve ripulsa che si prova nel mangiare un cibo poco gradito o nell’indossare un abito di un colore che non ci si sente addosso – insomma, non sono un tipo dionisiaco.
Prima di seguire la sorte di Penteo però voglio invocare la clemenza di Dioniso, perché sebbene non ami i rituali ne riconosco la natura divina: la celebrazione collettiva spegne l’ego nella folla, lo diluisce e lo annulla, è un metodo di trascendenza che fa parte di ogni cultura ed epoca. Il rito è una necessità psicologica, per usare l’espressione con cui lo psicologo C. G. Jung definì Dio; è una tecnica sacra volta a smarrire l’individualità grazie alla momentanea identificazione con il Noi della folla, per raggiungere il divino che risiede oltre ogni identificazione.
Come scrive il filosofo taosita Zhuangzi, “La saggezza degli antichi ha raggiunto altezze sublimi. Di quali sublimi altezze si tratta? Coloro che pensano che non hanno mai iniziato ad esservi delle cose distinte hanno attinto la saggezza suprema, totale, a cui nulla si può aggiungere”. L’ebbrezza è sacra, necessaria, divina. Tremendo fu l’errore di Penteo, il superbo re di Tebe che proibì i riti al cospetto del dio in persona. Chi nega il rito ne sarà divorato, come ci insegna Euripide.
Nonostante i ripetuti avvertimenti, il cocciuto Penteo non desiste ed è punito nel più feroce dei modi: diventa la vittima sacrificale del rito, colui che partecipa alla festa suo malgrado – nel caso specifico, dilaniato dalla madre. I baccanali sono sacri e non possono essere proibiti: questa legge divina vale per Penteo come per la polizia che interrompe un rave party (il tifo invece è al sicuro, perché in Italia il calcio non lo ferma nessuno).
Eppure il baccanale è pericoloso, soprattutto quando non se ne conosce la natura e si approfitta della momentanea trasgressione di ogni norma. A volte l’esaltazione può trasformarsi in violenza, e, soprattutto in una società che ha poca dimestichezza col sacro, diventa facilmente l’ennesima occasione di perpetrare soprusi a categorie deboli, come donne, poveri o etnie discriminate. O anche, banalmente, verso i malcapitati che non vogliono o possono partecipare al rito. Quando il baccanale sostituisce all’Io perduto l’idea che celebra, può portare a prassi crudeli, come sapeva bene Goebbels, che seppe usare efficacemente la suggestione dei grandi raduni come strumento di propaganda. Altre volte si sostituisce alla propria identità quella della folla, un animale semplice e feroce, di gran lunga peggiore di qualunque Io. Inoltre il rituale è una necessità psicologica delle masse, non di chiunque: per perdere l’Io esistono altre vie, anche opposte, come la solitudine e l’ascesi. La prima gabbia dell’identità si costruisce con lo sguardo altrui, che si perde nella cecità della folla come nella sua assenza. O anche in una via di mezzo, come quella percorsa dal Buddha, che trasgredì sia i riti che l’ascesi.
Penteo ha sbagliato a non riconoscere la sacralità dei baccanali, ma aveva diritto a non parteciparvi, perché il divino, come si conviene all’infinito, si raggiunge da ogni lato. Ecco perché invoco il perdono e la clemenza di Dioniso verso chi celebra Dei suoi fratelli, a Oriente e Occidente. Persino il calunniato Apollo, che Nietzsche dichiara opposto a Dioniso, in quanto spirito della misura e della razionalità. La critica del filosofo tedesco val bene per l’arroganza positivista della sua epoca, così inebriata dalle scoperte scientifiche da credere l’uomo capace di raggiungere la verità assoluta, ma non rende giustizia alla feroce razionalità di filosofi come il sopracitato Zhuangzi, che ha abbandonato la ragione… ragionevolmente.
A ripensarci è possibile che Jesus Christ Superstar mi sia piaciuto più per il cristianesimo che per la musica. Non che sia diventato cristiano nel frattempo, tutt’altro, ma la fusione di elementi apparentemente inconciliabili come rock e religione palesa i tratti in comune tra trascendenza ed eventi di massa. E se la ricerca di trascendenza è una necessità psicologica che accomuna tutto il genere umano, i metodi per raggiungerla dipendono da fattori più variabili, legati alla costituzione e al contesto culturale in cui ci situiamo.
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