Oggi guardo al mio cuore e mi chiedo cosa gli sia successo, ma ai tempi delle medie ero innamorato perso di Irene. Vedo Irene e ho voglia di lei, ma non so decifrare con esattezza di cosa ho voglia. La desidero e le tiro un pugno sulla spalla. Lei reagisce e allora insisto a tirarle pugni sulla spalla, sempre nello stesso punto. Voglio che sia contenta e le faccio male. Male fisico. La mordo invece di baciarla. Non so come fare a procurarle piacere. La vedo in classe tutti i giorni e le scrivo bigliettini tutti i giorni e non so come fare a non chiamarla a casa. Risponde sempre sua madre. Sua madre mi vuole bene e mi capisce. Dice sempre che sono il più simpatico di tutti. Io picchio sua figlia e sua madre mi ripete che sono un bravo tredicenne. Suo padre invece mi sorride da lontano. Sua sorella maggiore mi chiama per nome e mi guarda con occhi dolci.
Vorrei baciarla per lunghe ore, lunghi giorni, toccarle il seno che le cresce di mese in mese, vorrei sentire com’è la sua lingua, ma non so come convincerla. Irene è la prima ragazza dai tempi delle medie che mi rifiuta. Appena comincia la terza conto già 34 ragazze con cui sono stato insieme. Ma con lei non so come fare. Resiste a tutte le mie strategie. Non capisco cosa voglia. Quando la spingo in bagno e mi schiaccio su di lei, lei sorride, è contenta, mi chiede se voglio giocare. Le dico certo che voglio giocare. Allora Irene mi morde una spalla e scappa via ed io mi sento così confuso che inizio a inseguirla, le faccio lo sgambetto e la picchio. E lei reagisce e mi picchia più forte. Ridiamo. A casa contempliamo i nostri lividi e siamo felici.
Quando suona la campanella la accompagno alla fermata dell’autobus e dopo cinque minuti ci ritroviamo per terra a fare a pugni. Le tocco il seno e lei mi tira uno schiaffo. La gente normale passa e ci dice smettetela imbecilli, i cani lì ci pisciano. E noi continuiamo. Poi torno a casa e le scrivo lunghe lettere d’amore dove uso tutte le parole del mio vocabolario tranne la parola amore. Ho paura che fraintenda. Le dico che sto male, sto male sul serio. Irene mi domanda sempre come mai io stia male. Ci divertiamo così tanto insieme. Non è bello quando giochiamo? Sì, dico io, è bello, ma io, ecco, io vorrei, tu vuoi… insomma, sì? Vuoi!
Sì, dice lei, voglio giocare con te.
No, dico io, no, cioè sì, voglio giocare anche io, ma tu vuoi stare con me?
Ma non stiamo già insieme?
Poi arriva il tempo della gita scolastica. E andiamo a Rimini. E Chiara mi fa la corte da mesi. Decido di cedere. In autobus ci teniamo per mano. Ascoltiamo la colonna sonora di film d’amore. Parlottiamo. Io guardo Irene con la coda dell’occhio.
La sera gioco tutto il tempo ai videogames alla sala da gioco. Ho una pistola rossa in mano e devo uccidere degli zombie. Tutti ridono e scherzano. Io mi deprimo da solo. Il giorno prima di partite i professori ci lasciano scorazzare liberi sulla spiaggia. Chiara vuole stare tutto il tempo con me. Il cielo è nuvoloso. Non fa caldo. Io lascio la mano di Chiara e vado da Irene. Le domando se le posso parlare un attimo da solo. Chiara ci osserva mentre ci allontaniamo sulla spiaggia. Vedo la sua faccia triste e arrabbiata. Non mi importa. Camminiamo per cinque minuti, poi afferro la mano sinistra di Irene e mi inginocchio. L’ho visto fare tante volte nei film. Le dico Irene io ti amo. A lei brillano gli occhi e poi mi chiede ma che vuol dire? Che cosa devo fare?
Oggi mi guardo dentro e torno a sognare per qualche minuto i tempi delle medie. Mi sembra che tutto, in realtà, invecchiando, si semplifichi acquisendo irreversibilità.
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