God is a concept by which we measure our pain
(John Lennon, “God”)
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Da piccolo mi colpiva molto che l’insegnamento del catechismo, lo stare chiuso in una stanza per un tempo apparentemente infinito con il prete e quella banda di geni del paesino sopra casa mia, si fondasse tutto sul mistero della fede.
Alle nostre domande svogliate, che tanto eravamo lì e qualcosa dovevamo pur dirla, dovevamo pur partecipare tra un atto e l’altro di bullismo (subìto o inferto), il prete rispondeva sempre la stessa cosa: mistero della fede.
Ci guardava uno ad uno coi suoi grossi occhi condiscendenti e diceva, sillabando: mi-ste-ro. Mistery. Rey Mysterio.
O al massimo ci raccontava una storia e a quel punto, che nella balena ci fosse Giona, Achab o il babbo di Pinocchio, poco importava.
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La più grande azienda del mondo, il brand più riuscito e diffuso nella storia dell’umanità, si fondava su un mistero.
Ma, ecco, possiamo finalmente svelarlo (non se ne avranno i credenti della prima ora): il mistero stesso è la verità.
Perché, come dice Nolan alla fine di The prestige: noi vogliamo essere ingannati.
Se ci viene data la soluzione, la verità dietro alla menzogna, il trucco dietro all’illusione, i tecnici dietro i paraventi, a noi non ce ne frega più niente.
Se il Dio nascosto di Bergman avesse risposto alle domande disperate dei suoi personaggi, loro non avrebbero saputo che farsene.
Non ce ne frega niente di sapere le risposte.
Non ce ne frega niente della scienza.
Di conoscere la nostra storia, della nostra evoluzione, dei processi di osmosi nelle cellule dentro di noi o della nucleosintesi delle supernove sopra di noi: niente di niente.
Noi vogliamo essere ingannati.
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I miracoli, dunque.
Pensiamoci bene.
Io, da solo, credo di aver assistito ad almeno tre.
Per esempio, una volta ho guarito il mio cane che si era aperto la pancia restando appeso a un fil di ferro con la sola imposizione della mani (e dopo aver impedito ai miei di portarlo dal veterinario).
Una volta ho visto gli alieni, la prova empirica dell’esistenza di altre forme di vita nell’universo, vorticare luminosi davanti ai miei occhi.
Ho previsto cose. Ho sognato le mie vite precedenti.
E allora? È forse sufficiente?
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Nel mondo, almeno un migliaio di Madonne hanno pianto per cause sconosciute.
Alcune sono apparse sotto forma di enormi macchie d’umido nelle periferie povere delle grandi città, altre si sono manifestate in natura, nel tronco cavo di una sughera.
Nella serie Il miracolo, ideata e codiretta dallo scrittore Niccolò Ammaniti, a un certo punto il primo ministro italiano afferra la statuetta di plastica della Madonna e prova a pulirle le lacrime di sangue che versa copiose – sei litri l’ora – senza ovviamente riuscirvi. Gli scienziati, chimici e biologi, concordano: trattasi di miracolo.
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Forse i miracoli accadono davvero. Forse Dio esiste davvero e fa accadere delle cose sulla Terra come quando io, piccolo catechizzato, giocavo sui formicai con una bottiglietta d’acqua e una lente.
Forse Biagio Conte è stato davvero miracolato quel giorno a Lourdes quando, nell’enorme vasca, le sue vertebre schiacciate si sono riformate, le sue gambe gonfie hanno perso quel brutto color vermiglio e hanno ripreso a muoversi e a portare in giro il resto del frate, un frate così fedele che alla fine Dio si è accorto di lui e lo ha ricompensato.
Questo hanno scritto Repubblica e altri giornali.
E forse sono davvero stati miracolati Giusto Iannuso Antonina, Aliffi Salvatore, Moncada Enza, Ferracani Caterina, Tranchida Bernardo, Gaudioso Vassallo Anna, a Siracusa, nel ’53.
Certo è che, in teoria, notizie del genere dovrebbero sovvertire l’ordine pubblico e rovesciare come un calzino tutto quello in cui crediamo. Quando sentiamo notizie del genere dovremmo incendiare le nostre case, licenziarci dai lavori che facciamo e correre nudi verso il sole cocente.
Ma è necessario – questo in realtà vogliamo – che il mistero rimanga ben intatto. (I miracoli ostacolano la Chiesa e indeboliscono la fede.)
Che ne sarebbe, infatti, della Chiesa, se Dio esistesse?
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