Per alcuni il 2018 è stato un anno memorabile, per altri un incubo che era meglio se si passava direttamente al 2072, per altri ancora un anno nella norma. Possiamo trarne alcune conclusioni generali? Probabilmente no, ma di certo la vita è strana, soprattutto se ti ritrovi a fine dicembre a discutere animatamente sui migliori film dell’anno e termini le notti con una lista di film che rende tutti contenti e tutti scontenti, perché, si sa, i compromessi fanno andare avanti il mondo, esattamente proprio come i litigi, come l’indifferenza, come l’entusiasmante amore, per cui ecco la nostra conclusione: qualsiasi cosa facciate, qualsiasi modalità adottiate, alla fine l’unica cosa che cambia veramente è se siete indiscutibilmente d’accordo o no con questa classifica. Se ne avete voglia potete pure spiegarci il perché, ma fatelo partendo dal presupposto che siamo persone fragili, che se gli dite per scherzo “sei brutto” si mettono a piangere. Per il resto a breve sulle nostre pagine un imperdibile 2019.
La Redazione di In Fuga Dalla Bocciofila
10. Lady Bird
A diciassette, forse diciott’anni, mettevamo t-shirt dalle tinte cancerogene, schiarivamo i capelli con l’ammoniaca, fumavamo golosi mozziconi d’avanzo. Le famiglie erano portafogli aperti a cui attingere se necessario; reclamavamo finanziamenti per costosi master europei, lavoravamo al Pizza Taxi dal giovedì al sabato e possedevamo motorini che raramente avevamo pagato da soli. Non sapevamo che fosse il dolore, l’austerità, il sacrificio, anche se avremmo giurato di sì. Di lì a qualche anno saremmo diventati scrittori, musicisti, fotografi, professori universitari, qualcuno anche per davvero. Non avevamo limiti, prima di sapere di averne.
9. Sulla mia pelle
La vera, terribile, tragedia è che tutto sommato le ingiustizie peggiori, quelle che accadono fuori, coperte dal buio, incartate nel silenzio, ce le aspettiamo; forse, segretamente, le desideriamo; certamente siamo pronti a condonarle come errori involontari, intrecci di circostanze e conseguenze imprevedibili. E, comprendendo tutto, perdoniamo. In un mondo sezionato fino ai componenti essenziali – potere, famiglia, svago, droga – si finisce schiacciati da gesti più grandi di noi che in fondo volevamo solo passare una serata a chiacchiere con un amico. Possiamo? Anche se siamo degli stronzi, ce lo meritiamo di guardarvi negli occhi? Vi dà fastidio?
8. La ballata di Buster Scruggs
Con questo western a episodi, i fratelli Coen ci hanno fatto avvicinare tutti al fuoco, ci hanno chiesto di sederci uno accanto all’altro, e poi si sono messi a raccontare quelle storie amare che si raccontano per mostrare, nel bene e nel male, come gira questo bislacco mondo. E, siccome la sera è lunga, si sono presi il tempo di raccontarne ben sei di storie. Se alla fine di ognuna di queste qualcuno avesse dovuto trovare una qualche morale, perché in questo genere di storie c’è pur sempre una morale, be’ io dico che avrebbe potuto usare questi sei proverbi: «Ride bene chi ride ultimo», «Meglio tardi che mai», «Meglio soli che male accompagnati», «Chi la fa l’aspetti», «La speranza è l’ultima a morire» e «Chi non muore si rivede». Perché in fondo i proverbi, proprio come i Coen, dicono tanto con poco.
7. Roma
Roma di Cuaron ha un difetto fondamentale: è perfetto.
Non sono tempi facili per i primi della classe. Calcuttismi, revanchismi anni novanta, nerd al potere, coerenza spicciola. Cuaron seduto al primo banco capisce che non solo i suoi compagni di classe lo odiano (questo se lo poteva anche aspettare) ma che perfino i professori gli preferiscono i bulletti, i piccoli spacciatori, quelli che finiscono i pomeriggi giocando alla playstation. Cuaron a questo punto, con un carrello che lo riprende in un bianco e nero abbagliante, si volta indietro verso la classe e scopre che al suo interno non è rimasto più nessuno.
6. Lazzaro felice
La cosa più incredibile, in questo piccolo grande film, è la sgangheratissima armonia con la quale tiene insieme idee, temi e linguaggi tanto diversi: naturalismo, magia, tradizione, capitalismo, vita, morte, parabola, fiaba, campagna, città, uomini e animali. Passato (Pasolini, Olmi, Taviani) e futuro del cinema italiano.
5. Chiamami col tuo nome
Quando siamo andati a vedere questo film c’eravamo appena lasciati alle spalle il 2017, anno che ricorderemo, tra le altre cose, per la mancata qualificazione dell’Italia ai mondiali di calcio e lo scoppio del caso Weinstein. Eventi influenti per le nostre chiacchiere, che si prestano bene a riempire le conversazioni negli anni a venire, quando passeremo le vacanze nella casa estiva che quel nostro amico tornato dall’estero ha ereditato. E il 2017 sarà, per lui, lo stargate verso un passato più remoto, adolescenziale, trascorso in quella villa nascosta nell’umida provincia italiana, tra improvvisi acquazzoni e afosi pomeriggi passati a mollo nell’abbeveratoio a discutere di letteratura. E poi le corse in bicicletta tra i campi, le colazioni con spremute d’arancia fresca. Il babbo che legge il Corriere della Sera e la mamma che suona Bach. Le pesche, qualcuno sa perché. Poi l’amico conosciuto quell’estate, venuto da fuori e lì tornato. Chissà ora dov’è, cosa sta facendo, perché si è smesso di scriversi, di telefonarsi, di amarsi. Ora con internet sarebbe più semplice ritrovarsi, riprendere i contatti, ma è meglio lasciare tutto così, dentro un leggero e delicato ricordo del passato.
4. Un affare di famiglia
È interessante constatare come, nonostante l’occidentalismo imperante, il raziocinio che spesso ci manca provenga quasi sempre da oriente. Un esempio: mentre discutiamo concetti come famiglia naturale e bigenitorialità perfetta Hirokazu Kore’eda fa un film in cui si realizza il sogno di ogni bambino, oltre che di ogni persona sana di mente in possesso di legami parentali. I critici sballano, i premi fioccano, arriva anche la candidatura a Miglior film straniero per gli Oscar 2019. Cambierà qualcosa da questo lato dello schermo? Forse no; o forse tra cento anni. Allora però, con su i nostri caschi spaziali, ci guarderemo indietro e diremo “Ce ne abbiamo messo di tempo, ma bisogna ammettere che ne è valsa la pena”.
3. Avengers: Infinity War
Sovente mi è capitato di passare notti a chiacchierare di cinema con amici più o meno intimi. Spesso il discorso verteva sugli ultimi film visti in sala o su quelli che erano risultati più piacevoli. Come in ogni dibattito sul gusto non di rado nascevano discussioni più o meno accese sul valore di una pellicola, discussioni che talvolta si tramutavano in scontri, se non addirittura in veri e propri litigi, ma con l’ultimo Avengers ho assistito ad un fenomeno assurdo, ovvero: le persone intorno a me litigavano perché erano d’accordo su quanto l’ultima fatica Marvell fosse riuscita. Ne scaturivano scambi di questo tenore:
«Che ne pensi dell’ultimo Avengers?»
«Ficata»
«Non sono d’accordo, è più che una ficata»
«Sono io che non sono d’accordo con te: è molto di più che più che una ficata»
«Sì, è vero, questa cosa che c’è piaciuto a entrambi tantissimo mi fa i*******e»
«Anche a me mi fa i*******e e questo perché sei un imbecille»
«Sì hai ragione, sei un imbecille»
«No, l’imbecille sei te che ti è piaciuto Avengers meno che a me»
«Ma come fai a dire che mi è piaciuto meno che a me se ho prima ho detto che mi è piaciuto più che a te»
«Lo vedo da come ne parli»
«Ma v********o»
«V********o te, l’ultimo Avengers è fichissimo»
«Appunto, hai ragione, per cui f*****i»
«Sei uno s*****o»
«Faccia di c***o»
2. Dogman
I volti ci parlano, ci raccontano storie, i gesti e i corpi s’infuriano nell’immobilità, le mani si contraggono nella disperazione, nella fame, nella rabbia. Un locale diroccato, un’insegna con il neon tremolante, un pavimento con le mattonelle scheggiate. Tutto ci rammenta quanto siamo miseri e sporchi e indifferenti. Incapaci di esistere con dignità, ribellarci alle prepotenze, di alzarci e dire no. Lo stomaco si contrae per l’ansia, per l’angoscia, i polmoni si sforzano di respirare. Vogliamo solo essere amati, in fondo. Riconosco il mio riflesso in una pozzanghera nera e vedo come sono e come vorrei essere.
1. Il filo nascosto
P. T. Anderson, un eroe che abbiamo cantato più volte su queste pagine e che più volte ha scalato le nostre classifiche. Basti pronunciare il titolo del suo film – Phantom thread – e con gusto nabokoviano assaporarne il suono, per entrare, vittime complici di tanta bellezza, nel mondo fatto di seta e di velluti, di colori ardesia, corallo e conchiglia, in cui abita l’indimenticabile stilista Woodcock, ultima maschera di D. Day-Lewis. È un abito ben confezionato. Anzi, è il migliore che si possa confezionare. E scucendo la fodera, un messaggio, un segreto, un sibilo: possa io esser per te la cura del veleno che amorevolmente spargo sulle tue pietanze. Per sempre tua, Alma.
Beel dice
Dogman film davvero insolito, guardato con piacere