di Luca Giommoni
La prima che la vide fu la piccola Helga. Arrivava dalla foresta, era verde ed era più fitta del vapore che faceva suo padre, Ugo, quando scaldava l’acqua per la vasca.
La nebbia si dirigeva verso il villaggio, passando per i campi, colorandoli plumbei.
Il primo a morire fu Heinrich, il terzogenito dei Braun, che si divertiva a nascondersi nell’erba alta dei campi, e lì rimase. La signora Klara fu la seconda. Ugo fu l’unico a precipitarsi in soccorso della donna in preda agli spasmi e fu anche il terzo a morire. Poi toccò a sua moglie, che si staccò dall’abbraccio della figlia per andare verso la nebbia e il corpo a terra del marito, e cadde a terra pure lei.
Fu Wilhelm, il fratello maggiore, a prendere per il braccio la sorellina e portarla in salvo prima che la nebbia la raggiungesse. La trascinò in casa e si nascosero sotto al tavolo. Dalla finestra sentirono il maestro Schmidt, l’unico erudito del villaggio, dire: «In alto, dobbiamo andare in alto!» Allora uscirono, passando da dietro, dal pollaio, ed evitare la nebbia. Si ritrovarono qualche metro davanti al maestro Schmidt che incitava tutti ad andare in alto, ma la nebbia lo raggiunse e il maestro Schmidt si fermò in basso.
«Al campanile!» gridava il signor Hoffmann, che non se l’aspettava proprio di vedere suo figlio, in quella mattina di luglio, graffiarsi il collo nel tentativo di continuare a respirare.
«È il respiro del Nidhogg, si è risvegliato!» gridava invece Franz Schuster, sempre ostracizzato da tutti per i suoi deliri che, ora, in mezzo a quel delirio generale, sembravano assumere un senso.
La piccola Helga intanto non lasciava la mano del fratello e saliva di una fretta che le faceva paura i gradini per la cima del campanile.
Sotto, la signora Weber se ne stava seduta nella casa in cui era nata nel 1862 e in cui sarebbe morta quando avrebbe voluto il Signore Iddio, e la nebbia accontentò uno dei due.
Il fornaio Schwarz aveva appena raccolto l’ennesima pagnotta che gli era caduta nella fuga isterica. Riprendeva a correre stringendo al petto il pane. Ogni tanto annusava l’odore della farina e, per un attimo, la paura svaniva. Gli dispiacque che fu un sapore ferroso a bloccargli i polmoni e non quello del lievito.
La vedova Bauer finalmente ebbe un buon pretesto per usare la pistola del marito e, finalmente, finì la lite che si era protratta dalla sera precedente tra i fratelli Schäfer. Vinse Georg, che cadde qualche centimetro più avanti.
Conigli, talpe, ricci, ratti, insetti, uscirono dalle loro tane e, per un’innata forma di solidarietà, andarono a morire accanto agli antichi e temuti vicini di casa. Nelle stalle, le vacche non si resero conto di niente. I cavalli perdevano la vita e la loro eleganza.
Quando la nebbia si era già sparsa per tutto il villaggio, come faceva anche in alcune mattine d’inverno, iniziò a salire.
Fra foglie di alberi che appassivano e rondini che cadevano, avvolse anche la piccola Helga, abbracciata al fratello. Poi, in un unico e compatto banco, si spostò gradualmente verso est, dove l’avrebbe aspettata il settimo reggimento fanteria dell’esercito del Kaiser e, dove sarebbe arrivata, secondo le stime ufficiali, solo alle quindici del pomeriggio, ben quattro ore dopo da quando la seconda armata dell’esercito francese aveva rilasciato il gas, perché tirava un bel vento.
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