Del giorno X del Nostro si dice che lui stesso ne fosse da lungo tempo a conoscenza, e che avesse programmato la fuga con largo anticipo, nei minimi dettagli, in modo che sia lui e la sua amata sarebbero stati in grado di godere reciprocamente della piena dedizione a quegli ultimi istanti insieme, senza il fantasma di un agguato a turbare una situazione così delicata come quella della separazione forzata.
Questo è ciò che si usa raccontare ai bambini per mantenere inalterata la figura epica del Nostro, ma per quanto riguarda me e ciò che mi muove a parlare non ho alcuna intenzione di tacere la verità su come andarono realmente le cose; verità scritta peraltro da lui stesso in un messaggio inviato al fratello – mio intimo amico – che non aveva più sue notizie da troppo tempo. E quindi lo riporterò per intero, il messaggio, perché proprio in questa occasione mi è tornata alla mente la massima di un vecchio saggio che così recitava: «non il cosa, ma il come».
“Caro Luc,
sono venuto a sapere stai cercando mie notizie e domandi qualcosa sul mio futuro che non ti posso svelare. Ma ti dirò, ora, qualcosa del mio passato, ovvero di come andarono le cose quel giorno, perché questo, certo, non voglio in alcun modo tenertelo segreto.
Il momento in cui fui svegliato dal tonfo di un merlo sulla vetrata della sala grande non si lega tuttora, nella mia mente, a un’immagine nitida e puntuale come quella che sono certo avrei ricordato se fossi stato invece sveglio durante quell’evento improvviso. Tuttavia ciò che limpidamente ricordo è che quando aprii gli occhi ebbi la sensazione che qualcosa di grave fosse accaduto, o se non qualcosa di grave si potrebbe dire qualcosa di poco allegro. Eppure udii solo silenzio, mentre il capo mi sbucava dalle coperte e mentre forse udivo anche un lontano fischio del vento tra i rami semisecchi di alcuni abeti che avremmo dovuto abbattere già da tempo, ma che non avevamo avuto il coraggio di segare e veder cadere al suolo; suono, quello del vento, quasi cantilenante, poiché attutito dalla presenza, tra le mie orecchie e quei rami semisecchi che tagliavano il flusso d’aria, di una spessa parete di pietre e calce, e intonaco anche. Ecco perché ti dico forse udivo: perché quella nenia mi aveva cullato sin dalla notte precedente ed era in un certo senso diventata suono della mente, e non più degli alberi, là fuori, quanto piuttosto qui dentro.
Lei, Olivia, dormiva – o meglio, continuava a dormire – con una certa espressione di pace sul volto; dunque decisi di alzarmi e di uscire fuori a controllare se davvero il rumore che avevo sentito significasse qualcosa di reale.
Luc, è inutile dirti che io l’amavo. Se potessi avere più vite in una credo che non rifarei quello che ho fatto, ma in questa medesima sono tanto bestia quanto angelo e continuerò così perché lo desidero. Forse è un discorso da sciocchi, ma una certa parte di me fin dagli inizi della mia formazione di uomo avrebbe voluto che l’altra parte di me fosse solo una ridicola fantasia, e che non venisse minimamente presa sul serio dalla vita. Questo non è, tuttavia, accaduto.
Così quella mattina uscii in giardino, e dalla porta arrivai innanzi alla grande vetrata della sala del camino. In basso, ai miei piedi, trovai un merlo girato sul dorso con il becco socchiuso, un boccone di tre grossi vermi e gli occhi vuoti, segno che era spirato dopo essersi schiantato in volo contro il vetro antiproiettile della sala della nostra casa – che non smetterò di definire tale.
Avevo intravisto, qualche giorno prima, il nido di quell’uccello che si trovava incastrato su un ramo alto ma ben raggiungibile dal tetto. Ricordo anche che non volli spostarlo perché mi faceva piacere vederlo lassù.
Insomma presi i vermi dal becco e, messili nel taschino della camicia, mi arrampicai sul tetto, mi avvicinai al nido e li lasciai ai piccoli. Fu in quel momento che apparve ai miei occhi dal fondovalle – per via che lo stare in piedi sul punto più alto della casa offriva ora alla mia vista la possibilità di oltrepassare le cime degli alberi circostanti fino a scorgere l’inizio della strada a poco meno di una decina di chilometri di distanza – una carovana di autoblindate delle forze dell’ordine con i fari accesi e le sirene che accendevano piccoli bagliori bluastri e rossicci nella mia retina.
Così è come andarono le cose, e in nessun’altra maniera. Avevo due minuti per dissolvermi, due minuti in cui mi assicurai di prendere il computer, qualche scatola di tonno e di fagioli, un coltello, un maglione e una giacca. Non ebbi il tempo di dire a Olivia che stavo scappando e che avrebbero forzato la porta, gridando e intimando di stare immobile. Volevo che la sua reazione fosse sincera per le macchine della verità che altrimenti non lasciano scampo. Non è stato niente di buono quel che ho fatto, non sono stato un genio né un mago poiché Olivia è sola, e io credo che non avrò la possibilità di rivederla mai più. Mi domando perché le cose debbano essere tali da allontanare me dagli altri, se non per qualche istante di gioia estremamente fugace. Inoltre Luc, in questo voglio essere sincero: io non accetterò che i miei figli contino sull’arrivo di un poco di buono che raccatti tre vermi per salvarli dalla fame mentre mi aspettano, invano; non sono così malvagio da assicurargli una sorte simile. I miei figli non ci saranno perché io stesso non posso darmi pace.
Così non ti comunicherò le mie intenzioni future, i miei spostamenti, perché non solo di figli si parla, ma anche di te o fratello, e di poche altre anime quiete. Con questo ti risparmio mille sofferenze, e risparmio a me quella di privarmi del rischio. Spero con tutto me stesso che tu possa un giorno capirmi e che proprio quel giorno potremo incontrarci di nuovo.
Ti auguro una vita piena e serena.
Addio.
Aldo”
Rispondi